LA FELICITÀ E IL PARALLELISMO TRA IDEALISMO E REALISMO
Le leve motivazionali e l’importanza della conoscenza dell’inconscio e delle emozioni nelle relazioni umane e nella vita di tutti i giorni.
Nella società moderna, la ricerca sfrenata del successo, della felicità, del benessere sembra farsi sempre più difficoltoso. Per alcuni è sempre più difficile far fronte alle difficoltà, per altri sembra un sogno sempre più lontano.
Una delle cause che trovo di maggior interesse è la mancanza di univocità nella definizione dei termini e delle cose. Così come per la felicità e per l’amore, se ognuno da un significato proprio, ha una idea tutta sua per poterci arrivare, sarà persuaso e motivato nel perseguire una strada “inventata” che non porterà ovviamente da nessuna parte, se non alla frustrazione e al fallimento. Bisognerebbe cominciare a dare il giusto nome alle cose e a chiamarle con il proprio nome.
Ci sono diversi concetti di felicità: dall’edonismo all’eudaimonismo, dalla possibilità e capacità di vivere uno stato di flusso, flow (Mihály Csíkszentmihályi, 1975) al dare un significato alla propria vita (frankl) , sino alla felicità benemegliana che è serenità, armonia, benessere interiore data dall’equilibrio delle due menti, analogica/emotiva isitntuale e logica razionale, che in sostanza potrebbe raggruppare tutte le teorie filosofiche fino ad ora esplicitate integrandole tra loro. Esse ci possono portare a ritenere ogni teoria vera e applicabile, integrandole tra loro e non escludendole, per portare così l’individuo, nella sua completezza, verso la vera felicità. Infatti per il concetto di felicità benemegliana si intende “serenità” ed è felice colui che finalmente ha raggiunto ( o riacquisito) la CAPACITÀ di poter perseguire i propri SOGNI in piena LIBERTÀ ed in pace con la propria COSCIENZA. A questo aggiungerei la capacità di perseguire, raggiungere e poter vivere i propri sogni che devono sempre coincidere con uno “stile di vita” ben preciso e specifico; coincidere con uno scopo e una visione definita e soddisfacente. Diversamente si cade nella trappola dell’assolutismo verso un principio piuttosto che un altro, e quindi si diventa vittime dell’edonismo, dell’eudaimonismo, della ricerca spirituale etc. E allora perché non ricercarle e viverle tutte contemporaneamente?
La trappola della ricerca della felicità con il piacere immediato è una “felicità illusoria” ed è sempre in agguato. Il piacere ricercato, il desiderio di raggiungere quella meta svanisce nel momento stesso della conquista. Si ha così bisogno di un nuovo stimolo, di un nuovo obiettivo una volta raggiunto e così all’infinito.
È semplice pensare di sostituire quindi ogni obiettivo o sogno con un macro-sogno o macro-obiettivo che è lo scopo, la visione e lo stile di vita che si intende vivere che è una condizione, in sostanza, che non si raggiunge mai e che quindi alimenta il desiderio, la motivazione, come una stella polare o un faro che illumina la nostra strada per tutta la nostra esistenza.
È il “sogno dei sogni” che deve prevalere e sovrastare ogni altro obiettivo o desiderio che ha in sé la sua visione trascendentale e spirituale oltre che di forte impatto motivazionale che risponde alle domande:
- per chi e/perché voglio ciò che voglio e faccio ciò che faccio?
- In che modo voglio vivere la mia vita, facendo cosa e diventando chi?
Significa essere coscienti e disporre del proprio tempo da spendere consapevolmente in attività gratificanti, volute e scelte e non come conseguenze subìte, non come prezzo da pagare per il raggiungimento di falsi obiettivi dettati da altri fattori o da condizionamenti emotivi, privi di un vero significato, di uno scopo e quindi di un vero “perché”.
Si tratta di spostare semplicemente il “focus” un po’ più avanti e oltre il semplice raggiungimento di un obiettivo, un’idea, una cosa o una persona. Questo è a mio avviso il segreto dei segreti per la felicità. Possibile anche grazie e soprattutto alle scoperte di Stefano Benemeglio.
Ritengo che si possa vivere in totale pienezza e serenità una vita piena di soddisfazioni se si agisce con consapevolezza e in maniera strategica.
Si potrebbe ricercare il piacere immediato e vivere maggiormente di emozioni positive, godere del bene materiale, vivere uno stato di flusso e pieno di soddisfazioni nelle attività svolte con un grande e profondo significato della vita, senza trascurare il fatto che a livello inconscio emozionale è necessario essere liberi da ogni tipo e forma di condizionamento che impedisce e limita l’agency dell’individuo, che ne assume un carattere fondamentale se non essenziale e basilare per la felicità, il benessere e la salute.
In parte è a causa di questo “impedimento”, di questi meccanismi mentali, che l’individuo ha problemi e vive infelice e talvolta poi si “ammala”.
Il principio comune del senso della felicità, inteso come la ricerca del piacere immediato e continuato, che il consumismo sfrutta in ogni sua parte, fallisce di fronte alla complessità della condizione umana.
La sofferenza, privata del suo senso relazionale e contestuale, diviene sintomo di malattia e la cultura pseudo-terapeutica non riesce a debellarla e, privando l’individuo del suo rapporto riflessivo con l’esistenza, lo rinvia all’industria edonistica.
Edonismo e pseudo-terapia si alimentano così l’uno con l’altro. Il fallimento del principio del piacere può indurre al pessimismo. E questo pessimismo può essere a sua volta foraggiato dalla natura del nostro inconscio.
L’inconscio non è il contenitore della spazzatura umana e nemmeno lo scrigno di segreti inconfessabili o perlomeno non è solo questo.
L’inconscio è un regno dai confini indistinguibili, che invade il pensiero e si irradia nel corpo.
È l’affetto, il calore, il significato caldo che contraddistingue le relazioni, i gruppi, le organizzazioni. L’inconscio pervade gli incontri, gli scambi, le culture, i simboli, le relazioni affettive. È il mondo delle emozioni, come veicolo del rapporto con la realtà, come collante delle relazioni, come fondamento dei sentimenti.
È l’inconscio ad avvertirci della verità di un incontro prima che questa giunga alla coscienza, prima che sia sottoposta al pensiero.
Per ragioni storico antropologiche, l’inconscio è tendenzialmente pessimista.
Studi scientifici dimostrano che il suo lavoro primordiale è vedere in primo luogo i pericoli che minacciano la nostra sopravvivenza. L’inconscio è più sensibile al pericolo che all’opportunità, perché la varietà delle emozioni negative è di gran lunga superiore a quelle positive; le emozioni guidano il nostro inconscio e l’inconscio guida l’individuo e la sua esistenza.
È abbastanza facile prendere coscienza di questo concetto, facendo questo piccolo esercizio:
Prendi un foglio di carta e penna e scrivi tutte le emozioni negative che conosci; ora scrivi tutte quelle positive. Quali sono quelle di numero maggiore? Con tutta probabilità quelle negative saranno in prevalenza, e poiché siamo guidati dalle emozioni che sono contenute nella nostra memoria, le emozioni prevalenti caratterizzeranno la nostra tendenza alla sofferenza o al piacere, al positivismo o al pessimismo.
I nostri processi percettivi reagiscono immediatamente alle minacce, tentano in qualche modo di prevenirle.
Questo pessimismo dell’inconscio ha un senso antropologico.
“Se tu dovessi progettare la mente di un coniglio, lo faresti reagire con la stessa forza alle opportunità e alle minacce? Per nessun motivo. Perdere un indizio che segnala la presenza di cibo ha un costo basso: le probabilità vogliono che ci siano altri conigli nel mondo e un errore di questo tipo non lo porterà a morire per fame.
Invece, il costo di non cogliere gli indizi della presenza di un predatore è molto alto e può essere catastrofico: game over, fine dei giochi”. (Haidt, 2007, p.35)
Siamo dunque più sensibili alle minacce che alle opportunità.
Minacce e opportunità che oggi sono soprattutto relazionali.
Il loro ambito non sono più le foreste vergini o le pianure nebbiose, ma gli uffici, le case, le strade delle città. Forse passando dalla natura alla cultura, il nostro inconscio è diventato ancora più pessimista.
Questo principio è detto anche “inclinazione alla negatività” (Haidt, 2007, p.36).
Nei rapporti matrimoniali ci vogliono almeno cinque azioni buone o costruttive per riparare al danno provocato da un solo atto critico distruttivo.
La mente umana, la mente istintuale che ci governa e ci guida, reagisce alle “cose brutte” più in fretta, con maggiore forza e persistenza di quanto non faccia con le “cose buone”. Il nostro modo di ragionare, sentire e agire è governato da due sistemi motivazionali opposti:
• un sistema di avvicinamento, che nasce da emozioni positive e spinge a muoversi verso certe cose;
• un sistema di ripiegamento, che scatena emozioni negative e induce ad attaccare o meglio a ritirarsi e a fuggire.
Entrambi i sistemi sono sempre attivi, vigilano sull’ambiente e possono produrre allo stesso tempo motivazioni opposte. Il sistema di ripiegamento è di gran lunga più veloce, immediato, efficiente di quello di avvicinamento.
Il sistema di ripiegamento può indurre un’idea di felicità fondata sul concetto di protezione, difesa, nicchia di sopravvivenza, cessazione del pericolo. Questa idea è alla base di numerose scelte di vita. In ultima analisi è sintetizzabile con la frase “non voglio problemi”. Ma spesso si rivela irrealizzabile.
I problemi sono insiti in qualunque forma di convivenza sociale. Lo stesso rapporto con la natura presenta una serie infinita di problemi che l’uomo da sempre è chiamato ad affrontare.
Così la formula “life no problem”, si infrange in una serie infinita di piccoli problemi quotidiani: il parcheggio che non si trova, le bollette da pagare, l’aumento dei prezzi, la rata del mutuo, il rumore del vicino di casa, la pagella del figlio adolescente, le angosce del capo, il lavoro che non si trova, le incertezze dell’amore.
Volere una vita dove non ci sono problemi ci rende poco allenati nell’affrontarli non funziona e ci indebolisce.
La cultura pseudo terapeutica ci considera esseri malati fragili incapaci di affrontare le avversità, pronti a soccombere. Così ogni evento negativo con una perdita o una sconfitta diventa un trauma, da cui possiamo riprenderci solo con l’aiuto di medici e medicine. Abbiamo paura di come reagire. Questa paura è fondata sul concetto di profonda auto svalutazione di noi stessi.
“Se ci convinciamo di essere fragili e indifesi, lo diventiamo. Perché perdiamo fiducia in noi stessi ci priviamo della convinzione che possiamo reagire, che possiamo affrontare traumi e avversità. È stato dimostrato che gli ottimisti hanno maggiori possibilità di affrontare traumi rispetto ai pessimisti. D’altra parte non esiste formula, garanzia, ricetta, allenamento che permette di avere una crescita in seguito a un trauma. La possibilità di crescita è appunto una possibilità. E come tale non va trascurata o negata come invece tende a fare la cultura pseudo terapeutica”. (Stanchieri, 2008)
A tal punto mi viene da fare una riflessione circa la MOTIVAZIONE più profonda che guida le persone: se fossimo in verità separati in due MACRO CATEGORIE?
Prendendo in esame le scoperte del Professor Benemeglio in riferimento al pensiero che domina l’individuo, in un ottica trascendentale e metafisica, sappiamo che un individuo può essere dominato da un pensiero istituzionale, piu logico e razionale, più “umano” oppure dominato da un pensiero trasgressivo, più istintuale, guidato dalle emozioni. Più propriamente identificati rispettivamente come “pensiero realista” (logico razionale) e “pensiero idealista” ( istintuale emotivo).
Possiamo supporre allora che l’individuo dominato dal PENSIERO REALISTA sia prevalentemente propenso ad essere guidato dal “sistema di ripiegamento” e quindi ad allontanarsi dai problemi, pericoli, ostacoli che si frappongono tra lui e i suoi sogni. È l’individuo tendenzialmente “realista” quello più motivato ad agire per paura delle conseguenze, motivato ad agire per paura e per evitamento con il Metaprogramma “via da”.
Mentre l’individuo dominato dal PENSIERO IDEALISTA, sia prevalentemente propenso ad essere guidato dal “sistema di avvicinamento” e quindi ad agire verso, spinto dal desiderio di raggiungere qualcosa piuttosto che di evitare qualcos’altro. Dalle conseguenze positive che “finalmente” potrà ottenere una volta raggiunto, piuttosto che dalle conseguenze negative alle quali andrà incontro se invece non lo raggiungerà.
È evidente che entrambe le funzioni sono presenti su chiunque ed è impensabile supporre che chi ha un tipo di “pensiero” non abbia anche l’altro. In determinati contesti e momenti della vita, i due sistemi sono presenti sempre su chiunque, ma sarà prevalentemente uno dei due a guidare l’individuo.
Questo principio e queste conoscenze possono trovare implicazioni pratiche e utili nella vita di tutti i giorni, come anche nelle relazioni interpersonali, professionali e sentimentali affettive, così come anche nella vendita, per definire le pulsioni e motivazioni all’acquisto, nel marketing e nel copywriting, ambiti in fase di studio e sperimentazioni in cui applico con successo queste conoscenze e le scoperte del Professor Benemeglio, oltre che ovviamente applicarle con ampio successo nei processi di coaching e mentoring professionale.