Le Discipline Analogiche e l’infanzia.
“I bambini credono che un bacio su un graffio possa farlo guarire. E ci credono perché si fidano di chi si prende cura di loro. Non è ingenuità, è fiducia incondizionata.”
La fiducia incondizionata che un bambino ripone nell’adulto è un piccolo trampolino per alimentare l’autostima in età evolutiva e gli educatori della Pedagogia Emozionale, branca delle Discipline Analogiche di Stefano Benemeglio, avvalendosi degli strumenti della Filosofia Analogica Benemegliana promuovono il concetto di Felicità valorizzando la natura emozionale del bambino, ponendosi in una nuova prospettiva relazionale adulto/bambino per attuare un cambiamento radicale, attraverso lo studio e l’applicazione della Pedagogia Emozionale che pone al centro l’emotività e la gestione emotiva nel bambino che possiede già tutta la componente istintiva, per permettere al bambino di vivere nella sua massima espressione e all’adulto di acquisire la conoscenza per una migliore gestione del rapporto educativo genitore/figlio, educatore/bambino.
L’adulto spesso è portato a pensare che l’universo infantile sia fondato su una comprensione minima della realtà, dimenticando che invece l’istanza emotiva, l’io bambino, ancora incondizionato ha una elevata capacità percettiva ed è un potente recettore agli stimoli esterni, che sono intrisi di parole, gesti o semplici affermazioni, una quantità di informazioni che spesso, purtroppo, peccano di qualità comunicativa e facilmente possono generare un turbamento, che grazie agli studi di Stefano Benemeglio possiamo definire Turbamento Base.
Il bambino riconosce i genitori come entità significative dalle quali difficilmente potrà sottrarsi, essendo completamente dipendente per esigenze reali, restando così costantemente in balia dell’agire e delle regole stabilite e imposte da essi. Dalla percezione infantile, seppure ancora fantasmagorica, il piccolo ha i primi elementi sui quali fonda la sua “natura inconscia”, ma se la stessa natura inconscia percepisce un mancato appagamento (senso del possesso) delle sue esigenze (senso del desiderio), per eccesso o carenza, derivante dal rapporto che vive in relazione ai genitori si genera un disagio, un impatto emotivo che scaturisce il turbamento (una mancanza di equilibrio tra esigenza e appagamento), Turbamento Base quando è in relazione al genitore-causa.
Da questa prima percezione, questo primo punto di riferimento, ha inizio l’interiorizzazione, la genesi degli aspetti emotivi significativi per il bambino, che nel susseguirsi delle esperienze egli riporterà come esempio, archetipo costituente scelte e convinzioni. Questi episodi significativi, generanti tensione emotiva in continua successione, andranno a costruire una memoria emotiva che se non conforme alle regole individuate dalla ragione, dai condizionamenti e dalle aspettative genitoriali andranno a comporre il conflitto che meglio si identifica in Conflitto Genitoriale, capace di plasmare, per sua imponente natura, la personalità, il modo di stare al mondo e quello di percepirsi nello spazio e nel tempo, fonte di ispirazione archetipica di sentimenti e risentimenti.
L’immagine primordiale, archetipica, che il bambino ha dei genitori costituisce il “Modello Comportamentale” originante la percezione dell’ambiente circostante, ma nel momento in cui l’archetipo presenta difformità e viene percepito come inadeguato andrà a generare un conflitto, l’esigenza di distinguersi dal modello comportamentale adottato dal genitore e ritenuto deludente perché non conforme alle esigenze emotive espresse. L’effetto del Conflitto Genitoriale genera una percezione alterata (causa del dolore), un processo che basandosi sugli elementi simbolici della vita, i genitori, si rinnova costantemente andando a costruire la natura riflessiva, la percezione del proprio sé e delle proprie credenze, ossia l’origine dell’interpretazione del bene e del male. È il conflitto genitoriale che ingenera il complesso.
L’alterazione, frutto di un processo riflessivo, è una modalità di sopravvivenza al dolore e alle esigenze frustrate, che da riflessione o forma pensiero, può determinare l’idea o meglio la paura di essere portatore di un “Difetto”, una paura condizionante, ossia il disagio percepito che fa emergere un “Complesso”.
Il “Difetto” è proprio il pregiudizio riferito al pensiero genitoriale di cui è temuta una possibile sanzione, si costituisce nella mente del bambino e sarà l’elemento nel quale egli si identificherà, opponendosi alle esigenze della parte inconscia ed emotiva.
Il ”Complesso” è il timore che si ripresentino le stesse situazioni vissute con il genitore conflittuale e più il conflitto sarà stato forte ed intenso più sarà vincolante il complesso che si genererà.
“EDUCARE ALLE EMOZIONI PER OFFRIRE AL BAMBINO L’ESPERIENZA E NON SOLO IL CONCETTO DI SOSTEGNO E FIDUCIA”
Queste percezioni, così ampie anche se difficili da descrivere per il bambino, si concretizzano già nei primissimi anni di vita, andando a generare il “Complesso del Rifiuto” dai 0 ai 5 anni, facendo insorgere nel bambino un senso di inadeguatezza ed inutilità rinforzato dal timore di essere rifiutato e poiché la paura del rifiuto sarà altamente condizionante si adotterà un comportamento evitante il rifiuto stesso, adoperando la maggior parte delle energie per evitare la sanzione a discapito della componente emotiva, generando il sospetto di essere rifiutato per come sono.
Se la percezione del rifiuto si conclama negli anni successivi, quando il piccolo inizia a condividere il proprio sé nei rapporti sociali, sarà precursore del “Complesso della Vergogna” dai 6 ai 10 anni, generando il timore di avere difetti che mi rendono perdente e quindi poco apprezzabile, data da una valutazione negativa in relazione alla comparazione fallimentare che spesso il genitore riversa inconsapevolmente sul bambino. Questo tipo di complesso mina e compromette la dignità ponendo il bambino in una presunta condizione di inadattabilità sociale, alimentando la vergogna nell’eventualità di un confronto.
L’intento educativo del genitore dal decimo anno di età può essere percepito come un catalizzatore della paura che si conclama nel “Complesso del Condizionamento” dai 10 anni al Punto Utopico generante un “Conflitto di scelta” inquadrabile in due modalità di condizionamento. Condizionamento alla Rinuncia e Condizionamento d’obbligo. Rinuncio quindi a fare ciò che desidero realmente per essere considerato un bravo bambino? Assecondo una scelta obbligata e non voluta per trovare consenso nel genitore? Ciò comporta soggezione e reattività compressa sacrificando l’indipendenza emotiva a favore dell’autorità genitoriale.
Molti dei dinamismi che il bambino attua sono conseguenze delle azioni genitoriali, che seppure in buona fede e con amore il genitore ha dispensato alla propria prole sigillandone il destino, con la possibile conseguenza di generare disagi consistenti, ma che grazie alle Discipline Analogiche e agli studi di Stefano Benemeglio possiamo individuare in 5 Punti Distonici e non a caso il primo in assoluto è appunto la Famiglia di Origine, con conseguenze sui rapporti sentimentali affettivi che inibiscono l’espressività sessuale e l’autorealizzazione, comportando disturbi dell’emotività e del comportamento. Nasce quindi l’esigenza di adottare un modello integrale nell’intervento educativo, che chiama in causa non sono il genitore, ma anche educatori ed adulti chiamati ad opere su di sé in una dimensione emozionale.
La PEDAGOGIA EMOZIONALE offre una formazione in grado di fornire elementi fondamentali per la crescita individuale, attraverso il concetto di “alfabetizzazione emozionale” che mira alla valorizzazione della dimensione emotiva nel rispetto della natura emozionale del bambino. Attraverso lo studio mirato sulla felicità del bambino e del genitore, la valorizzazione dei linguaggi emotivi profondi, la conoscenza delle dinamiche inconsce dell’individuo, si può assicurare una crescita integrale, promuovendo la gestione emotiva dell’adulto e del bambino, al fine di evitare la trasmissione di esigenze individuali, intrise di paure ed aspettative personali dell’adulto, causante probabile distorsione nel processo di elaborazione emotiva infantile. L’educatore ha quindi l’importante compito di accompagnare il piccolo nella scoperta del mondo emotivo, e attraverso una conoscenza e lo studio di una prospettiva emozionale, può avvalersi delle competenze adeguate per ridurre gli effetti dei danni analogici infantili.
“IMPARIAMO A CREDERE NEI BAMBINI E A SOVVERTIRE LE NOSTRE CREDENZE ATTRAVERSO IL GIOCO DELLA COMUNICAZIONE EMOTIVA”